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mercoledì 16 settembre 2015

Giudizi Universali e Teleangectasie

 
 
 
Nell'arco della mia vita ho sempre rifuggito il giudizio altrui.
Gli esami, gli occhi di un uomo, quelli di un genitore. E per finire gli occhi miei attraverso il riflesso atroce dello specchio.
Ogni tribunale dell'ego che vedesse me come imputata unica, m'infastidiva oltremisura.
Potevano darmi tutto.
Perfino uno schiaffo, una carezza, uno "stronza" viscerale . Ma un giudizio ben formulato e ben argomentato beh no, grazie.
 
Il sovvertimento di questo teatrino egocentrico lo ebbi senza preavviso.
 
Accadde in un maggio timido, era cristallizzato nello sguardo severo del mio mentore.
 
"Che cos'è?"
 
Avevo davanti un' immagine ingrandita con uno speciale strumento medico e dietro quei pixel ad alta risoluzione avevo una donna e davanti a quelle macchie di colore avevo il mio camice bianco ben stirato, con me profumata di Armani inevitabilmente abbottonataci dentro.
 
"Dimmi cos'è e scrivilo su questo foglio."
Sotto la voce "dubbio diagnostico" ero chiamata ad esprimere un giudizio.
Fu la prima volta che etichettai un pezzo di pelle come carcinoma, fu la prima volta che da giudicata divenni giudicante.
 
Da quel maggio non smisi e presi a sedere tanto al banco dell'accusa, quanto al banco degli imputati.
Con enorme ed inattesa disinvoltura.
Provare nuovi punti di vista può salvarci la vita. O perlomeno, può renderla più divertente.
Provateci anche voi, animi imperturbabili.
Provateci anche se siete abbottonati in un camice bianco, provateci anche se stringete una ventiquattrore piuttosto che un martelletto da giudice.
Provateci soprattutto se temete di sbagliare.
 
E vedrete, vi salverà.
 
 

 

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